22 aprile 2014

La lezione ecologica dell´Isola di Pasqua

La storia dell´ecocidio - il collasso di un'intera civiltà a causa del degrado ambientale e delle risorse naturali - dell´isola di Rapa Nui, meglio conosciuta come Isola di Pasqua - è stato reso popolare dal film "Rapa Nui" (1994), varie documentazioni (tra cui molte pseudoscientifiche) e dal libro del biologo americano Jared Diamond "Collapse - How societies choose to fail or survive" (2005).

Secondo lo scenario proposto la civiltà di Rapa Nui avrebbe deforestato l´intera isola per la costruzione delle statue dei Moai. La terra spoglia ben presto fu erosa, i raccolti dei campi non erano sufficienti per sfamare una popolazione cresciuta a dismisura - guerra, carestia e collasso furono le conseguenze. Una società destinata all´estinzione, confinata su una minuscola isola nel bel mezzo dell´oceano, per la sua stessa avidità e stupiditá - il confronto con l´odierna crescita illimitata della specie Homo sapiens su un pianeta confinato e limitato, disperso nell'infinita dello spazio, viene naturale.


Ma ci sono diversi problemi con questo scenario. I siti paleontologici, con i resti delle piante, studiati sull´isola sono molto limitati, le carote di sedimenti recuperati sono incompleti e spesso la datazione è dubbia. Non è perciò chiaro quando l´isola ha perso completamente le sue foreste native. Secondo le analisi più recenti l´isola durante l´Olocene era caratterizzata da un clima umido e le foreste si estendevano su 70% della superficie dell´isola, almeno fino all´arrivo dei primi uomini verso il 300 all' 800 d.C. Sfortunatamente dopo l´800 il clima s'inaridisce è perciò non si sono depositati sedimenti di questo periodo nei pochi laghi perenni o paludi. Non è perciò ben chiaro se la popolazione veramente ha deforestato in un breve periodo l´intera isola - come postulata dall´ipotesi del collasso improvviso -  o se la siccità ha causato un lento, ma continuo, declino della foresta. 
Contro l´ipotesi della deforestazione veloce e catastrofale sta l´osservazione che non sono mai stati trovati significanti resti o strati carbonizzati, dato che molte civiltà antiche per sgomberare terra per uso agricolo usavano dei incendi controllati, sembra strano che lo stesso metodo non siá stato adottato anche sull´Isola di Pasqua. Inoltre i reperti archeologici che mostrerebbero cannibalismo (esiste inoltre anche il cannibalismo culturale in tempi pacifici) e ferite di combattimento sono pressoché nonesistenti.
 

Quando l´isola fu scoperta dagli europei nel 1722 fu descritta di fatto spoglia, ma con agricoltura più che sufficiente per sfamare la popolazione endemica. La foresta scomparsa era stata rimpiazzata da cespugli piantati e copertura dei campi con rocce laviche, che diminuivano l´erosione del suolo da parte del vento e proteggevano la terra dal sole incandescente. Gran parte dell´erosione e distruzione osservabile tutt'oggi sull´isola fu causata dal pascolo di grossi animali (capre, pecore, vacche e cavalli) introdotti dagli europei negli ultimi 150 anni.
 
Fig.1. Nel 1786 l´isola fu raggiunta da una spedizione scientifica francese (1785-1788) sotto il commando di Jean-François de La Pérouse. Le immagine realizzate degli artisti di bordo mostrano una civiltà stabile e le statue ancore  intatte, il che contradice l´ipotesi di guerre, anche con sfondo religioso, tra la popolazione indigena.
 
Dalla documentazione archeologica emerge un'immagine molto più complessa - un declino lento della vegetazione primordiale, causato da vari fattori, tra cui il clima e probabilmente aiutato anche dall´uomo - un cambiamento a cui gli abitanti di Rapa Nui riuscirono ad adattarsi all´inizio.
 

Rimane comunque un´importante lezione da imparare dalla storia dell´isola di Pasqua: anche se la perdita dell'ecosistema dell´isola non è da imputarsi esclusivamente all´uomo, un ambiente impoverito ha privato la società locale di molte possibilità future (su un´isola spoglia é difficile costruire navi e sviluppare la navigazione) - ogni civiltà, progredita o no, dipende dall´ambiente circostante e alla fine e nei propri interessi tutelarlo.

Bibliografia:

HUNT, T.L. (2007): Rethinking Easter Island’s ecological catastrophe. Journal of Archaeological Science 34: 485-502
HUNT, T.L. & LIPO, C.P. (2007): Chronology, deforestation, and “collapse:” Evidence vs. faith in Rapa Nui prehistory. Rapa Nui Journal 21(2): 85-97
HUNT, T.L. & LIPO, C.P. (2009): Revisiting Rapa Nui (Easter Island) “Ecocide”. Pacific Science 63(4): 601-616
HUNT, T. & LIPO, C. (2011): The Statues that Walked: Unraveling the Mystery of Easter Island. Counterpoint: 256
THOMSON, W.J. (1891): Te Pito Te Henua, or Easter Island. Report of the National Museum 1888-89, Smithsonian Institution, Washington: 552
RULL, V.; CANELLAS-BOLTA, N.; SAEZ, A.; GIRALT, S.; PLA, S. & MARGALEF, O. (2010): Paleoecology of Easter Island: Evidence and uncertainties. Earth-Science Reviews 99:50-60
MANN, D.; EDWARDS, J.; CHASE, J.; BECK, W.; REANIER, R.; MASS, M.; FINNEY, B. & LORET, J. (2008): Drought, vegetation change, and human history on Rapa Nui (Isla de Pascua, Easter Island). Quaternary Research 69:16-28
MIETH, A. & BORK, H.-R. (2010): Humans, climate or introduced rats – which is to blame for the woodland destruction on prehistoric Rapa Nui (Easter Island)? Journal of Archaeological Science 37: 417-426
MIETH, A. & BORK, H.-R. (2005): History, origin and extent of soil erosion on Easter Island (Rapa Nui). Catena 63: 244-260

21 aprile 2014

L'Uovo gigante tra Leggenda e Realtà

Nell´anno 1658 l´ammiraglio Ètienne de Flacourt pubblico la sua "Histoire de la Grande Isle de Madagascar", una dettagliata cronaca storica e naturalistica dedicata al Madagascar e frutto della sua esperienza come governatore dell´isola tra il 1648 al 1655. In quest'opera menziona anche uno strano uccello, che si nascondeva nelle foreste impervie dell´entroterra:
 
"Vouronpatra, un´grande uccello che abita gli Ampatres* e depone le uova come lo struzzo: a qualora la gente locale non lo catturi, si ritira nelle regioni più desolate."
*Ampatres significa "zona paludosa" nella lingua nativa, Vouronpatra è un termine combinato tra Vorona, che significa uccello, e Patra, appunto palude

Fig.1. Uovo indeterminato del Madagascar.
 
Altri resoconti aggiungevano ulteriori inquietanti dettagli, le uova di questo misterioso uccello erano descritte otto volte più grandi di quelle dello struzzo (che raggiunge un'altezza di due metri e mezzo) e venivano usate dai nativi come serbatoi d´acqua potabile. Di fatto nel 1832 il naturalista Victor Sganzin osserva un mezzo uovo usato come scodella dai nativi. Nel 1848 il capitano M. Dumarele raccontava di uno strano incontro sulla propria nave. I nativi avevano portato un uovo vuoto con una capienza di tredici bottiglie di vino (e che volevano aver riempito con il Rum) a bordo. A richiesta d´acquisto dello strano oggetto, rispondevano che un uovo cosi grande e completo era merce troppo rara per essere venduta e ancora più raro era l´uccello che lo deponeva.

Poiché a parte di questi strani racconti mancavano prove tangibili, queste storie furono ritenute dai naturalisti del vecchio continente perlopiù leggende o fiabe. Già nel tredicesimo secolo Marco Polo aveva raccontato di aver visto alla corte del Kublai Khan uova gigantesche, che provenivano da un'isola a largo dell´Africa. Le uova - cosi i naturalisti di quei tempi - provenivano dal mitico Roc, un uccello rapace talmente grande che riusciva a cacciare gli elefanti - ovviamente una impossibilita zoologica.
 
Nel 1840 un esploratore mando frammenti di alcune grandi uova allo zoologo francese Paul Gervais, che però gli identifico come proveniente da un tipo di struzzo. Solo nel 1851 l´esistenza di un grande uccello endemico del Madagascar divenne ufficiale, con tre uova (con una lunghezza fino a 34 centimetri e con una capienza sei volte superiore a un uovo di struzzo) recuperate e presentate insieme a dei frammenti di ossa alla Académie des Sciences di Parigi. Appena dodici anni prima il naturalista britannico Richard Owen aveva descritto una specie di uccello gigante fossile dalla Nuova Zelanda - il Moa - , basandosi solamente su reperti frammentari. Il naturalista Geoffrey-Saint-Hilaire denominerà l´uccello del Madagascar Aepyornis maximus. Solo quindici anni più tardi si scoprirà uno scheletro completo di questa specie fossile, anche chiamata "uccello elefante" per via delle dimensioni delle ossa recuperate.
 
Fig.2. Ricostruzione di Aepyornis maximus da BURIAN 1972.

Il racconto del Vouronpatra pone un interessante quesito - potrebbe il mito essere basato su incontri dei nativi con una specie di uccello elefante sopravvissuta fino ai tempi moderni?
 
Un´ipotesi verosimile. Esiste un caso simile abbastanza ben documentato. Nei miti dei Maori della Nuova Zelanda i Moa giocano un importante ruolo ed esistono anche storie di caccia da parte dei Maori a queste creature. Anche basandosi sulla "freschezza" delle leggende raccolte dai primi coloni europei, si ha ipotizzato che alcune specie di Moa sopravvissero fino al 1800. Reperti archeologici supportano in parte questa ipotesi, poiché datano l´esistenza di alcune specie di Moa fino al 1600.
 
Nel caso dell´uccello elefante la situazione è un po' più incerta. La mitologia sul Vouronpatra, come riportata da Flacourt, sembra essere molto meno sviluppata e molto più vaga che nel caso dei Moa e dei Maori.
 
Rimangono tre ipotesi verosimili:
 
-    L´uccello era visto come una preda - anche se preda molto rara - di un comune animale, non come un elemento mitologico. Ipotesi più intrigante, poiché sposterebbe la data dell´estinzione di questa specie in tempi storici.
 
-    Potrebbe trattarsi di un mito primordiale molto antico, di cui si sono persi nei secoli gran parte degli elementi, il che spiegherebbe la sua struttura molto semplice. I dati archeologici più recenti della convivenza tra uomini e uccelli elefanti datano difatti indietro quasi 2.000 anni.
 
-    Potrebbe trattarsi di un mito basato anche solamente sul ritrovamento delle uova fossili, il che spiegherebbe il perché l´animale "viveva" in zone inaccessibili (e perciò non era mai stato visto da vivo) dell´isola.
 
Bibliografia:
 
HEUVELMANS, B. (1995): On the Track of Unknown Animals. Kegan Paul International, London: 677