30 novembre 2011

Tettonica Globale

La moderna tettonica delle placche è una delle grandi teorie nella geologia moderna e anche una delle più giovani - la sua forma odierna è stata sviluppata in appena gli ultimi cinquanta anni. La tettonica delle placche è essenziale per comprendere la forma e la distribuzione dei continenti e mari, la genesi delle catene montuose e bacini sedimentari e dove è perche occorrono terremoti.

Già con le prime carte topografiche del continente americano (dal 1507 in poi) le somiglianze tra la costa del Sudamerica e l´Africa incuriosirono geografi e naturalisti. Nel 1602 il filosofo inglese Francis Bacon nota le somiglianze nel suo "Novum Organum", 38 anni dopo il frate François Placet pubblica un libretto in cui afferma che i due continenti erano collegati insieme prima del diluvio universale. L´idea del diluvio biblico per spiegare la forma dei continenti rimarrà popolare per i prossimi 250 anni.

Fig.1. Anche questa illustrazione - tratta dal libro inglese di Thomas Burnet "The Sacred Theory of the Earth" (1684) - cerca di spiegare i contorni dei continenti con il diluvio universale. Parti della crosta terrestre si fonde rilasciando grandi quantità d´acqua dal sottosuolo, che ricopre l´intero globo. Quando il livello di questo mare primordiale scende si formano i mari tra i continenti frantumati.



Il naturalista francese Buffon propone nel 1717 una connessione tra l´Irlanda e l´America per spiegare la distribuzione di certe conchiglie fossili scoperte su entrambi i lati dell´oceano. Tutti questi grandi naturalisti però rimangono vagì sui meccanismi in grado di frantumare o muovere interi continenti - il diluvio rimane l´idea più plausibile.

Una teoria alternativa è proposta dallo zoologo francese Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829): i continenti si muovono solo apparentemente - su un lato il mare erode le rocce dei continenti, mentre sul lato opposta si depositano nuovi sedimenti - in questo modo l´area complessiva delle terre emerse rimane sempre la stessa, ma si muovono sul globo terrestre. Sfortunatamente la teoria provoca poco interesse.
Nel 19° secolo il geologo americano James Dwigth Dana (1813-1895) propone una teoria che riscontrerà un´grande successo: la terra si sta lentamente raffreddando dopo la sua formazione e come ogni corpo perde volume - su un corpo più piccolo la crosta viene deformata è forma cosi catene montuose. Questa teoria era in concordanza con le conoscenze geofisiche dell´epoca (non si sapeva di fatto che la terra non si raffredda in modo veloce come proposto, anche perché il decadimento radioattivo produce calore), ma non poteva spiegare la distribuzione irregolare delle catene montuose - su una superficie di sfera le forze di pressione dovrebbero essere distribuite regolarmente, formando catene montuose in una struttura regolare.


Fig.2. Appena nel 1858 lo scienziato franco-americano Antonio Snider-Pellegrini pubblica la prima ricostruzione dell'America e dell'Africa che formano un singolo continente. In assenza di un meccanismo per spiegare questi movimenti suggerisce il diluvio - un'idea obsoleta ormai anche a quei tempi.


A meta del 20° secolo con la scoperta delle dorsali oceaniche (le prime carte geologiche del 1920-1960 rivelano che in questi punti si sta formando nuova crosta oceanica) si riscopre un'idea proposta agli inizi del 19° e 20° secolo: l´ipotesi della terra in espansione propone che il globo si sta espandendo, formando nuova crosta più giovane attorno ai vecchi resti della crosta primordiale che formano i continenti. Soprattutto il geologo Laszlo Egyed, basandosi sull´osservazione delle variazioni del livello marino in tempi geologici è la presenza delle dorsali oceaniche, formula una versione moderna di questa ipotesi. L´ingegnere tedesco Klaus Vogel sviluppa un modello in cui tutti i continenti ricoprono un globo terrestre 20% più piccolo di quello attuale.


Fig.2. Il geologo australiano Warren Cray e l´ingegnere tedesco Klaus Vogel (entrambi sostenitori della terra in espansione) discutendo un modello per illustrare la loro ipotesi (da OLDROYD 2007).

Tuttavia l´ipotesi della terra in espansione non è mai riuscita a formulare un meccanismo convincente per spiegare l´origine della massa o il volume necessario per "ingrandire" la terra. Il fisico tedesco Pascual Jordan in 1966 afferma che l´espansione é causata da una generale dilatazione dello spazio-tempo - simili idee pseudoscientifiche (particelle subatomiche dal sole che interagiscono con il nucleo terrestre, fusione nucleare che forma materiale esotico, etc…) seguono in oscure pubblicazioni - oggigiorno soprattutto in Internet. 

Delle ipotesi "più geologiche" comprendono l´accrescimento per la constante caduta di materiale dallo spazio, transizioni di fase mineralogiche nel mantello terrestre o la degassazione di fluidi da questo e la formazioni di grandi pennacchi di materiale che risalgono verso la superficie, gonfiando la terra. Queste ipotesi sono confutate dalle osservazioni attuali - il materiale proveniente dallo spazio è troppo poco per spiegare l´accrescimento (a parte che sarebbe di una propria composizione petrologica non comparabile al materiale terrestre) e le presupposte transizioni mineralogiche non sono state osservate nelle indagini tramite tomografia sismica effettuate (che al contrario mostrano la crosta oceanica in subduzione).

L´ipotesi della terra in estensione accetta le dorsali oceaniche come punto di formazione di nuova crosta, ma nega l´esistenza o riformula l´importanza delle fosse oceaniche, che sarebbero solo un fenomeno locale. Un punto di criticá è la lunghezza delle zone di formazione di nuova crosta che non coincide con le zone in cui vecchia crosta viene riciclata. Quest'affermazione è spesso sottolineata con delle carte topografiche planari, che comunque sono soggette a delle notevoli deformazioni di proiezione, soprattutto verso i poli con l´allungamento virtuale delle dorsali del mare artico e antartico. Inoltre questa critica non tiene conto che comunque ogni dorsale oceanica possiede una zona di subduzione connessa a questa - che non deve essere per forza perpendicolare a essa, poiché conta il vettore di movimento complessivo della placca in movimento.

Il geologo australiano S. Warren Carey (1912-2002) - uno dei più accaniti sostenitori della terra in espansione e che negò l´esistenza delle zone di subduzione - propose che semplici misurazioni con dei satelliti potrebbero confutare l´ipotesi della terra in espansione. Moderne osservazioni con il GPS hanno confermato con certezza che i continenti si stanno muovendo sulla superficie terrestre, ma nessun satellite ha mai misurato una dilatazione della terra

Una nuova teoria - in verità proposta in forma simile già all'inizio del 20° secolo - ha retto alle intemperie del tempo è ci spiega la dinamica della terra: la tettonica delle placche (tranne in Italia...)


Bibliografia:

FRISCH, W.; MESCHEDE, M. & BLAKEY, R. (2011): Plate Tectonics - Continental Drift and Mountain Building. Springer-Publisher: 212
MILLER, R. & ATWATER, T. (1983): Continents in Collision. Time-life books, Amsterdam: 176
OLDROYD, D.R. (2007): Die Biography der Erde. zur Wissenschaftsgeschichte der Geologie. Zweitausendeins-Verlag: 518 

23 novembre 2011

Maltempo, Alluvioni e Frane in Sicilia

Una perturbazione simile a quello che ha causato le alluvioni nella Liguria nell´ultima settimana di ottobre sta causando ora forti precipitazioni nel Sud Italia. L´alluvione interessa l'intera fascia costiera tirrenica della Sicilia.

Video 1. 22.11.2011 Alluvione a Barcellona (Messina)



2011-11-23 - Giornale di Sicilia-  Alluvione a Messina, i morti sono tre
2011-11-23 - Giornale di Sicilia - Maltempo, allagamenti e frane nel Messinese
2011-11-23 - yahoo.news -  Maltempo, la situazione nel Sud in tempo reale

Fig.1. La situazione meteorologica alle 21:15 2011-11-23, si nota la perturbazione sopra il Mar Tirreno che spinge le precipitazioni verso la costa.

19 novembre 2011

L´estinzione C/P: tra Chicxulub e Trappi del Deccan

Fino a circa cinquanta anni fa il limite Cretaceo-Paleocene (C/P), famoso per l´estinzione di massa che decretò la fine di alcuni dinosauri, era in sostanza sconosciuto per via della mancanza di una successione stratigrafica completa. 
Nel decennio 1960-1970 il geologo americano Walter Alvarez studio nella gola del Bottaccione (nei pressi di Gubbio, Umbria) una successione di calcari e marne - la formazione della "Scaglia rossa" - e cerco di calcolare la velocità di deposizione di questi strati torbiditici del Cretaceo - Paleocene.

Fig.1. La transizione Cretaceo - Paleocene nella formazione della "Scaglia rossa" (rotata di 90°, il Paleocene si trova di sopra).

Durante la ricerca sulla concentrazione di micro-meteore nei sedimenti scopri un'anomalia nella concentrazione di elementi rari, come per l´esempio l´Iridio. La concentrazione era talmente elevata che era difficile spiegare il fenomeno solo con un'ipotetica fluttuazione del tasso di sedimentazione della Scaglia Rossa. In un primo momento Walter, insieme al padre e fisico (e premio nobel) Luis W. Alvarez, propose una supernova e un incremento della caduta di polvere cosmica sulla terra come fonte dell´Iridio, ma ben presto cambio idea, formulando l´ipotesi di un impatto di meteorite metallico sulla terra. Per avvalorare l´ipotesi comunque mancavano successive prove e soprattutto il punto d´impatto. Tra il 1981 e il 1993 ricerche geofisiche scoprirono un immenso cratere d´impatto (con un diametro di 180 chilometri) nelle profondità della penisola dello Yucatan - denominato Chicxulub. Datazioni rivelarono che aveva l´età giusta per coincidere sia con l´incremento di Iridio, sia per spiegar l´estinzione di fine Cretaceo (il materiale fuso durante l´impatto e recuperato durante le trivellazioni fu datato a 65, 07 + -0,1 Ma). 
L´impatto di Chicxulub (e altri) è volentieri visto nei media e nel collettivo generico come l´unico fattore plausibile per spiegare l´estinzione alla fine del Cretaceo, ma durante questa transizione sono state osservate molte altre e profonde variazioni sulla terra - cambiamenti climatici, fluttuazione del livello marino e un intenso vulcanismo.

Secondo lo scenario proposto l´impatto uccise prima per via diretta (calore e onde di pressione sia nel cielo sia nel mare) e poi in modo indiretto: le polvere e i gas sprigionati dall´esplosione modificarono il clima, causando una piccola era glaciale, inoltre oscurarono il cielo, rendendo fotosintesi impossibili a tutte le piante. Dopo la morte delle piante ben presto tutte le catene trofiche collassarono - per primo morirono gli erbivori, seguiti ben presto dai piccoli carnivori e infine i grandi predatori. Ci sono diversi problemi con questa ricostruzione, che si basa più su considerazioni teoretiche che sull'evidenza dei fossili.
L´estinzione di fine Cretaceo fu sorprendentemente selettiva: nei mari si estinse il nannoplancton, foraminiferi planctonici, molluschi come le ammoniti e i grandi rettili. Comunque nello stesso ambiente sopravissero i foraminiferi bentonici, le diatomee, il gruppo dei radiolari e gran parte dei bivalvi e soprattutto i pesci. Sembra difficile spiegare come organismi autotrofi come i radiolari sopravissero a un ipotetico inverno nucleare e una notte post- apocalittica; com'è difficile spiegare perché pesci, che hanno bisogno del fitoplancton, riuscirono a trovare abbastanza cibo quando i rettili marini perirono.

Inoltre l´esatta datazione e processo dell´estinzione dei vari gruppi di organismi è incerta - non si sa esattamente se un determinato gruppo si è estinto esattamente 65 milioni di anni fa o forse già prima. 
Da diversi anni il gruppo di ricerca attorno all´americana Gerta Keller ha messo in dubbio le datazioni proposte, basandosi soprattutto sul processo di estinzioni di foraminiferi. Keller ha proposto che già prima di Chicxulub molte specie di foraminiferi mostravano un declino o erano già estinte. Inoltre secondo l´interpretazione di una stratigrafia nei pressi di Brazos (Texas) ci furono più di un singolo impatto nel Cretaceo superiore, che comunque non avevano quasi nessun effetto sulle comunità di fossili studiate.

In una nuova ricerca condotta su sedimenti e fossili dell´India il gruppo di lavoro ha proposto una via di mezzo per spiegare sia il declino precedente e considerando possibili effetti di un impatto.
I Trappi del Deccan sono un territorio igneo localizzato nella parte centro occidentale dell'India, e rappresenta una delle più estese zone vulcaniche del pianeta. Sono datati a un´età di 60 a 65 milioni di anni -  è considerate per questo da molti ricercatori come alternativa all´impatto per spiegare l´estinzione di fine Cretaceo. Comunque l´esatta cronologia dei Trappi rimaneva un mistero - poiché un periodo di cinque milioni di anni sembrava troppo lungo per spiegar una (dal punto geologico) improvvisa estinzione di massa. 

Solo negli ultimi anni nuove tecnologie hanno reso possibile  capire meglio il processo di formazione: I Trappi del Deccan si sono formati in tre singole fasi, iniziate 67,5 milioni di anni fa. La seconda fase eruttiva e quella più forte è responsabile di circa l´80% della massa complessiva dei depositi vulcanici - ed è proprio questa fase che coincide con la maggiore estinzione dei foraminiferi studiati. L´ultima (la terza) fase eruttiva, la più debole, è datata a 300.000 anni dopo il picco complessivo dell´attività vulcanica (figura 2 secondo KELLER).
Secondo il nuovo scenario la prima fase di attività vulcanica ha ridotto notevolmente il tasso dell´evoluzione dei foraminiferi e indebolito le popolazioni esistenti, anche se non ha causato un'estinzione di massa. La seconda fase, quella più forte, ha colpito ecosistemi indeboliti dalle eruzioni precedenti - è proprio in questo periodo che molte specie studiate scompaiono nel record fossile. Dopo questa estinzione i mari furono lentamente ripopolati da specie opportunistiche - ma i sedimenti mostrano anche un livello ricco di Irido - occorre una seconda estinzione di massa che termina con la terza fase vulcanica.  
Fig.3. I cambiamenti nella comunità di foraminiferi studiati - si osservano delle estinzioni di singole specie, ma anche un generale indebolimento e rimpicciolimento delle specie superstiti (secondo KELLER)

Il gruppo di ricerca non nega completamente il ruolo di vari impatti di asteroidi sulla biodiversità, ma propone una catastrofe combinata per spiegare meglio la cronologia e selettività dell´estinzione Cretaceo-Paleocene. L´incremento dell´attività vulcanica indebolisce per migliaia di anni prima dell´impatto (gli impatti?) gli ecosistemi della terra - è durante questo periodo che molti organismi non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni. I gas e le ceneri hanno modificato il clima, i livelli dei mari si abbassano, forse anch´essi per via dell´intensa attività magmatica del pianeta, infine l´impatto di asteroide - non forte come proposto in passato ma che colpisce in un momento critico - che decreta la fine di molti gruppi di organismi.

Fig.4. Già ricerche di alcuni anni fa hanno mostrato che le fasi eruttive dei trappi del Deccan coincidono con il limite C/P e l´estinzione di molte specie. Le successioni stratigrafiche studiate nell´odierna India comprendono singoli strati fossiliferi tra i depositi vulcanici delle tre fasi principali che hanno formato i trappi. L´ultimo strato prima del limite C/P contiene ancora fossili di dinosauri, la formazione di Rajahmundry  solamente fossili marini tipici del Paleocene. La specie di foraminifero A. mayaroensis é tipica per il Cretaceo superiore e si estingue al limite C/P.

Bibliografia:

ALVAREZ, W., ALVAREZ, L.W., ASARO, F. & MICHELl, H.V. (1979): Anomalous iridium levels at the Cretaceous/Tertiary boundary at Gubbio, Italy: Negative results of tests for a supernova origin. In: Cretaceous-Tertiary Boundary Events Symposium; II. Proceedings (Eds W.K. Christensen and T. Birkelund), pp. 69. University of Copenhagen
ALVAREZ, L.W., ALVAREZ, W., ASARO, F. & MICHEL, H.V. (1980): Extraterrestrial cause for the Cretaceous-Tertiary extinction. Science 208: 1095-1108
ALVAREZ, W. (2009): The historical record in the Scaglia limestone at Gubbio: magnetic reversals and the Cretaceous-Tertiary mass extinction. Sedimentology 56: 137-148
BAKER, V.R. (1998): Catastrophism and uniformitarianism” logical roots and current relevance in geology. In: BLUNDELL, D. J. & SOTT, A. C. (eds.) Lvell: the Past is the Key to the Present. Geological Society, London, Special Publications, 143: 171-182
FRENCH, B.M. (2003): Traces of Catastrophes: A handbook of Shock-Metamorphic Effects in Terrestrial Meteorite Impact Structures. Lunar and planetary Institute
KELLER, G.; ABRAMOVICH, S.; BERNER, Z. & ADATTE, T. (2009): Biotic effects of the Chixulub impact, K-T catastrophe and sea level change in Texas. Paleogeography, Paleoclimatology, Paleoecology 271:52-68
SCHULTE et al. (2010): The Chicxulub Asteroid Impact and Mass Extinction at the Cretaceous-Paleogene Boundary. Science 327(5970): 1214 – 1218

13 novembre 2011

La catastrofe di Armero

Riassunto dell´articolo originale pubblicato su Scientific American
"November 13, 1985: The Nevado del Ruiz Lahars"

Nel pomeriggio del 13 novembre 1985 l´attività esplosiva del vulcano Nevado del Ruiz (5.389m), situato a quarantotto chilometri dalla città di Armero (Colombia), era aumentata, ma a parte della caduta di ceneri non sembrava che ci fosse un rischio. 
Verso sera i 25.000 abitanti della città andarono a dormire, anche se i distanti rumori del vulcano cominciavano a preoccupare la gente. 
Alle 23:00 un improvviso boato - descritto da una superstite come se "il mondo gridava" - seguito da terribili tremori sorprese gli abitanti di Armero. Una miscela di acqua e detriti si riversò sulla città. In meno di mezz´ora tre o quattro ondate di fango, prima freddo, poi bollente, ricoprirono con più di un metro di materiale denso e grigio trentatré chilometri quadrati dell´area di Armero.
L´eruzione, relativamente piccola, aveva fuso parte del ghiacciaio che ricopriva la cima del Nevado del Ruiz. L´acqua di fusione si era mescolata con il materiale vulcanico formando dei lahars, che seguendo la vallata di Lagunillas avevano raggiunto la città. Le 3 a 4 colate di fango uccidono più di 22.000 persone nella citt
à e dintorni (il disastro vulcanico al secondo posto per numero di vittime nel 20. secolo).

Fig.1. La mappa di pericolosità per colate di fango nei dintorni del Nevado del Ruiz pubblicata prima del disastro (panello superiore), e la devastazione mappata dopo la catastrofe.

Dopo la catastrofe comincio un intenso dibattito sulla responsabilità delle autorità. La mappa di pericolosità (una delle prime in Colombia) era stata sia ignorata che misinterpretata dagli enti locali e dai media. L´attività del vulcano era iniziata nel 1984, von incrementi dal settembre 1985 in poi. La natura del terreno su cui era stato costruito Armero era conosciuta: depositi di lahars dell´eruzione nell´anno 1845, che aveva ucciso 1.000 persone.
Solo dopo il disastro il governo della Colombia ha creato un programma apposito di monitoraggio e educazione per prevenire simili catastrofi in futuro.

Bibliografia:

DECKER, R. & DECKER, B. (1991): Mountains of Fire: The Nature of Volcanoes. Cambridge University Press. Cambridge: 243

7 novembre 2011

Pseudoscienza nei Media: Ötzi vittima della frana astrale

Fig.1. "La conferenza al museo di S. Michele", articolo pubblicato il 20 Ottobre 2011 nel giornale regionale "Alto Adige", che senza nessun scetticismo riporta la pseudoscienza promossa da Mark Hempsell (non Mark Hempshell !), un 'ingegnere inglese, la cui ipotesi è stata riputata più volte negli ultimi anni.

L´articolo fa riferimento alla frana di Köfels, che si estende su una superficie di almeno 11,5 chilometri quadrati e con un volume stimato di 2 o 3 chilometri cubi è una delle frane più grandi nelle Alpi. 
Non è corretta l´affermazione che la frana è senza spiegazione - è conosciuta e discussa dal 1848, anno in cui il naturalista e cartografo svizzero Escher der Linth la riconosce. Nei seguenti anni è riconosciuta prima come frana, anche se dal 1930 in poi una spiegazione alternativa emerge: come detrito di un'esplosione vulcanica. Per un breve periodo anche l´origine da parte di impatto di bolide viene proposta, prevalentemente da ricercatori al di fuori del campo della geologia o che non hanno mai visitato l´area.
 Questa ipotesi è stata scartata definitivamente dal 1970 in poi, con il riconoscimento di tutte le caratteristiche tipiche per una frana. La frana si è staccata dal versante occidentale della valle, il deposito franato ha creato il Tauferberg - che in pratica ha bloccato l´intera valle. Pezzi di legno recuperati da una galleria che passa il Tauferberg sono stati datati grazie al metodo del radiocarbonio a un'età di 8.710 + / -150 anni BP (circa 9.800 cal. BP). Questa età è supportata da successive datazioni con gli isotopi cosmogenici di superficie di blocchi, che hanno restituito un'età di 8.889 +/-490 a 10,630 +/-570 anni BP. L´uomo del ghiaccio è datato senza ombra di dubbio a 4.500-4.580 anni - l´ipotesi della cometa - la frana - e la mummificazione è completamente priva di fondamenta....

Bibliografia:

HERMANNS, R.L.; BILKRA, L.H.; NAUMANN, M.; NILSEN, B.; PANTHI, K.K.; STROMEYER, D. & LONGVA, O. (2006): Examples of multiple rock-slope collapses from Köfels (Ötz valley, Austria) and western Norway. Engineering Geology Vol. 83 (1-3): 94-108
HEUBERGER, H. (1966): Gletschergeschichtliche Untersuchungen in den Zentralalpen zwischen Sellrain- und Ötztal. Wissenschaftliche Alpenvereinshefte Nr. 20
HUSEN, D.v.; BORTENSCHLAGER, S.; DRAXLER, I.; DRESCHER, R.; FRANK, C.; HAVLICEK, P.; HOFFNANN, K.; NAGEL, D.; PATZELT, G.; POSCHER, RABEDER, G.; TYRACEK, J.; WALTL, R. & WANSA, S. (1995): Eastern Alps Traverse. In SCHIRMER W. (ed.): Quaternary field trips in Central Europe: 381-434
IVY-OCHS, S.; HEUBERGER, H.; KUBIK, P.W.; KERSCHNER, H.; BONANI, G.; FRANK, M. & SCHLUCHTER, C. (1998): The age of the Köfels event. Relative, 14C and cosmogenic isotope dating of an early Holocene landslide in the central Alps (Tyrol, Austria). Zeitschrift für Gletscherkunde und Glazialgeologie Vol. 34: 57-70
LAHODYNSKY, R.; LYONS, J.B. & OFFICER, C.B. (1993): Phänomen Köfels - eine nur mühsam akzeptierte Massenbewegung. Geologie des Oberinntaler Raumes - Schwerpunkt Blatt 144 Landeck. Arbeitstagung der Geologischen Bundesanstalt, Wien: 159-162
PRAGER, C.; ZANGERL, C. & NAGLER, T. (2009): Geological controls on slope deformations in the Köfels rockslide area (Tyrol, Austria). Austrian Journal of Earth Sciences Vol. 102(2): 4-19

4 novembre 2011

La Toscana: Terra di balene e vermi mangia-ossa

"Dicono che il mare è freddo, ma il mare contiene il sangue più caldo di tutti,
il più selvaggio, il più urgente.
"
"Whales Weep Not!" D.H. Lawrence (1885-1930)

Gli abissi marini sono stati spesso comparati con un deserto in cui solo occasionalmente si trovano delle oasi - campi idrotermali in cui sorgenti di acqua bollente offrono abbastanza energia da alimentare un ecosistema, oppure le carcasse in decomposizione di grandi animali marini.
I processi tafonomici in mare aperto differiscono notevolmente da quelli osservabili vicino alla costa o in acque poco profonde - anche se purtroppo ancora poco si conosce sui fattori che gli influenzano - soprattutto se si tratta di gigantesche carcasse, come per esempio di balena. Si presume che la decomposizione di un corpo cosi grande è influenzata in una prima fase dalla profondità della colonna d´acqua e la pressione idrostatica, due fattori che influenzano il tempo in cui la carcassa galleggia nell´acqua. Una volta raggiunto il fondo, la decomposizione della balena segue una successione generale con diverse ondate di animali spazzini e saprofagi. La carne è rapidamente rimossa da grandi animali, come per esempio squali. I resti, come tessuto adiposo e cartilagine, sono colonizzati più lentamente  da organismi che si cibano sia dei resti organici che dal denso tappeto di batteri che si sviluppa su di essi. Dopo alcuni mesi rimangono solo le ossa, anch´esse sono colonizzate da una comunità di specie molto interessante è specializzata per quest'ambiente estremo composta principalmente da batteri, molluschi e policheti.
Gli esempi di grandi balene morte studiate oggigiorno sono abbastanza rari e imprese difficili (al minimo serve un sottomarino), ma il record fossile, soprattutto del Neogene, ha restituito materiale molto interessante e di relativamente facile accesso.

Già nel 2010 una ricerca condotta su scheletri di balena fossile ritrovati nel Pliocene toscano (per esempio localitá come Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano e Castell' Arquato) ha mostrato che già in passato esisteva una successione di organismi sulle carcasse di balene e questa successione dipendeva in parte dalla profondità in cui giaceva la balena. 
Un´altra ricerca pubblicata nello stesso anno ha descritto su ossa fossili di un giacimento spagnolo degli icnofossili - Trypanites ionasi - che sono stati attribuita a delle tane di un organismo comparabili al moderno genere di "vermi mangia-ossa" Osedax (gruppo di animali descritto appena nel 2002 nelle ossa di balena ritrovati sul fondo della baia di Monterey, California). Osedax e un policheto che non possiede bocca o sistema digerente, ma assorbe sostanze nutritive grazie a delle protuberanze a forma di radice che entrano all´interno delle ossa.

Fig.1. Ricostruzione dell´organismo che ha prodotto l´icnofossile Trypanites ionasi (immagine da MUNIZ et al. 2010), basandosi sopratutto sull´anatomia del moderno genere Osedax.

Una ricerca pubblicata recentemente nella rivista Historical Biology ha descritto simili tane su un reperto proveniente dalla Toscana - il primo esempio d'icnofossile di "vermi mangia-ossa" descritto dalla regione del Mediterraneo, e il terzo esempio in assoluto nel record fossile (a parte il materiale spagnolo esistono resti di ossa con delle tracce ritrovate nei pressi della costa dello stato di Washington).
L´icnofossile, composto di un bulbo all´interno delle ossa, è stato scoperto grazie a delle analisi di ossa con il metodo della tomografia computerizzata eseguite all´University of Leeds e il Natural History Museum in Inghilterra.

Fig.2. Scan di tomografia computerizzata con ricostruzione dell´organismo che ha prodotto le tane sulle ossa di balene del Pliocene toscano (HIGGS et al. 2011).

La scoperta è interessante perche amplifica notevolmente l´areale di distribuzione dei vermi mangia-ossa nel passato (6-3 milioni di anni). Inoltre è verosimile secondo i ricercatori che ancora oggi negli abissi del Mediterraneo esistano specie non ancora descritte di questo gruppo di policheti.

Bibliografia:

ALLISON, P.A.; SMITH, C.R.; KUKERT, H.; DEMING, J.W. & BENNETT, B.A. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI, S.; CIOPPI, E.; DANISE, S.; BETOCCHI, U.; GALLAI, G.; TANGOCCI, F.; VALLERI, G. & MONECHI, S. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology 37(9): 815-818
HIGGS, N.D.; LITTLE, C.T.S.; GLOVER, A.G.; DAHLGREN, T.G.; SMITH, C.R. & DOMINICI, S. (2011): Evidence of Osedax worm borings in Pliocene (3 Ma) whale bone from the Mediterranean. Historical Biology
MUNIZ, F.; DE GIBERT, J.M. & ESPERANTE, R. (2010): First trace-fossil evidence of bone-eating worms in Whale carcasses. Palaios 25: 269-273